Continua la rassegna di interviste firmate Capwear che vede protagonisti una serie di artisti, appartenenti ad ambiti diversi, ma tutti accomunati dalla medesima determinazione, passione e forza interiore. Questa volta abbiamo incontrato Alessandro Passera, in arte Bemynorth, cantante e musicista peschierse che, raccontando con la musica la sua voglia di normalità, sta scaldando i cuori dei suoi fan. 

Ciao Ale, non ti chiedo come stai passando questo periodo di quarantena perché è sotto gli occhi di tutti il tuo forte impegno musicale. Il tuo ultimo singolo “Voglia di normale!”, infatti, scritto in questo contesto particolare, sta riscuotendo molto interesse e ne parleremo tra poco. Ti chiedo, invece, come stai?

Ciao Gianca, e ciao a tutti gli amici di Capwear.
Io sto bene e spero stiate bene anche voi e tutti i nostri lettori. È un piacere essere qui a fare quattro chiacchiere. Dato il periodo, è un buon modo per distrarsi un po’. Immaginiamo di essere al tavolino di un bar, con un bel sole e un po’ di aria fresca. Partiamo!

 

Ecco appunto, è lo spirito giusto. Partiamo e torniamo un attimo indietro di qualche anno. Come è nato Bemynorth? Raccontaci il suo significato, cosa ti ha ispirato a intraprendere questo percorso?

Bemynorth è il cassetto dove tengo le cose più care, quelle che dico e che non dico. I desideri, i sogni e le paure, è la mia necessità di esprimermi. Questo percorso comincia dopo la rottura con la mia band Black Skyline. Adoravo i Black come se fossero una seconda famiglia. Ho vissuto questa rottura, infatti, come una vera e propria fine di una relazione. Ho avuto un anno di down molto forte dove non ho toccato la chitarra nemmeno una volta e la demotivazione si faceva sentire sempre di più. Poi un giorno mi sono svegliato e ho pensato che dovevo riprendere a scrivere per forza. Sentivo che fosse una cosa che mi veniva da dentro, che fosse la mia realizzazione personale. Pensavo e penso tuttora che finché posso scrivere ed esprimermi attraverso la musica, non potrò mai avere una visione totalmente negativa, anche se ci sono i periodi bui, per tutti. Proprio nel periodo in cui decisi di mettere in gioco “Bemynorth” ho avuto una fortissima crisi, era la fine dell’anno 2017 e stavo vivendo una forte depressione dovuta a molti aspetti della mia vita che non andavano nel verso giusto. L’unica cosa che sentivo vera era la mia famiglia, che adoro infinitamente anche se li faccio ancora arrabbiare (sorride) e i miei amici più stretti. In quel periodo ho avuto davvero paura quando per la prima volta mi è capitato di non trovare pace e nemmeno un senso nella musica, come se non avesse più nulla da dirmi. Il periodo durò quasi tre mesi. Mentre stavo per raschiare il fondo, però, trovai la forza di darmi la spinta verso l’alto, non da solo, ma grazie alle persone che mi sono state vicino. Da lì, appunto, nasce il mio primo EP da solista “No Quiet Place”, che per l’appunto significa “Nessun posto è tranquillo”. Posso dire che Bemynorth è nato da un momento di crisi pazzesca che mi stava schiacciando, ma alla fine le luci non si vedono se c’è chiaro, si vedono al buio.

 

Se dovessi sintetizzare le tappe principali di questo percorso musicale?

Le tappe principali di questo percorso sono state sicuramente una scrittura molto emotiva e anche molto di pugno. Specie all’inizio, ho scritto tutto quello che mi passava per la testa, senza filtri né limiti, in modo da poter avere più materiale possibile da poter elaborare. Questo sia a livello testuale, armonico, melodico e di costruzione di ogni singola canzone. Per esempio, 9 volte su 10 per me la scrittura comincia trovando un giro di accordi convincente almeno al 90%, poi provo a cantarci sopra delle parole casuali per capire bene la melodia, i giri che essa deve fare e la metrica. Una volta fissata la melodia allora riprendo in mano le bozze scritte e comincio ad adattare le parole alla musica. Dopodiché si passa alla parte fondamentale, la pre produzione, che in questo progetto ho svolto con Mattia Frassinetti con il quale abbiamo sistemato i suoni, compreso la “pasta sonora” necessaria a far risaltare il pezzo e scritto tutti gli arrangiamenti. Poi abbiamo portato tutti questi ingredienti ai Reclab Studios di Larsen Premoli da cui è uscita una “Buonissima Torta”. Mi piace pensarla così. In estrema sintesi, diciamo che le tappe sono molto legate tra loro, quella fondamentale credo sia la scrittura, senza di quella il resto sarebbe in stallo. Sicuramente poi un’ottima produzione contribuisce a slanciare parecchio il risultato finale.

C’è qualcosa del tuo percorso musicale, intendo fin dai tuoi inizi, che non rifaresti?

Se devo essere sincero credo che rifarei tutto. Tutto mi ha insegnato, nel bene e nel male qualcosa. Ho imparato che le band sono difficili da gestire, che se si sciolgono quelle di successo internazionale per i più svariati motivi non vedo perché non potrebbe capitare a un gruppo di giovani con due soli dischi alle spalle e un futuro ancora incerto. La motivazione è tutto, se in una band non si è tutti disposti a dare il 100 e più per cento, non ce la si fa. Un po’ come la testuggine di cui parlava Leonida, un solo spiraglio di debolezza e si forma una breccia. Purtroppo è stato così. Non rinnego assolutamente nulla di tutto ciò perché mi ha insegnato a suonare con altri musicisti, a vivere la musica non solo praticamente parlando, ma proprio a livello di persone, locali, background ecc. La cosa che mi sento di consigliare a cuore aperto ai più giovani è quella di fiondarsi dentro ogni opportunità perché tutto ci farà crescere.

 

Ci sono stati dei momenti del tuo percorso musicale in cui hai pensato di riporre il tuo sogno di fare musica in un cassetto, e lasciarlo lì, per sempre?

(Sorride di gusto). Questa è una super domanda. Allora diciamo che ci sono stati dei momenti, sì, ma veramente insignificanti, proprio una questione di qualche giorno. Quindi al netto di tutto, no, non ho mai rinunciato al mio sogno, e continuerò a spremermi con tutto quello che ho per provare a realizzarlo.

 

C’è una tua canzone particolare a cui sei più legato?

Che strano sentirsi chiedere questa cosa (sorride), svelo un piccolo tassello. Sono molto legato a “Something New”, scritta ancora in inglese e che fa parte dell’ep di cui abbiamo parlato prima. È una canzone che riguarda il mio passato. Ho perso i genitori che ero ancora bambino e questa canzone è incentrata totalmente su quello, con la speranza di credere in qualcosa di nuovo per l’appunto. Parlo ancora delle risate dei miei genitori, del loro eco nella mia testa, e delle canzoni che suonava mio papà nella nostra vecchia casa, e che appunto questo, invece, è il mio turno per donarne una mia a loro. È comunque un’esperienza che mi porterò dietro vita natural durante e che mi ha segnato profondamente, nel bene e nel male. Questo non significa che debba essere per forza lasciata nel passato, però, anche perché volente o nolente non sarà mai così. I pensieri anche più lontani, quando siamo da soli nel nostro letto trovano sempre il modo per avvicinarsi e l’unico modo per non farsi sbranare è accettarli e accoglierli come una cosa che fa parte di noi stessi. Un’altra canzone a cui sono più legato dal punto di vista personale, invece, è “Turn up the light”, prima canzone scritta in quel periodo oscuro dove appunto dico a me stesso e a chi come me si è trovato o si trova in situazioni davvero difficili “Quando fa buio, devi solo accendere la luce”; è una frase semplice, ma voglio incoraggiare a trovare una soluzione, perché credo ci sia sempre.

 

Nella prima domanda avevamo anticipato che ne avremmo parlato. Bene, è arrivato il momento. Raccontaci di “Voglia di normale”. Cosa rappresenta per te e come hai costruito il pezzo?

Questa è la domanda del momento, freschissima! Bé… "Voglia Di Normale" è un pezzo nato quasi per gioco. Un sabato mattina mi sveglio dopo giorni di tosse e mal di gola nel bel mezzo di un’ipocondria lampante, come potete immaginare. Apro le persiane e memore dei soliti sabati che vedevano il mercato vicino la mia via, mi rendo conto che non c'era un'anima in giro. "Io Sono Leggenda”. A quel punto mi fermo e penso: “questa situazione è davvero surreale, io ho voglia di normalità, quella solita, quella noiosa dei clacson nel traffico e della coda allo sportello del bancomat". Allora faccio colazione e mentre bevo il caffè penso: perché non esprimerlo come credo di saper meglio fare? Perché non musicare tutto ciò?” prendo in mano la mia chitarra acustica e tiro fuori un bel giro convincente, e comincio a canticchiarci sopra un ipotetico ritornello che mi è subito piaciuto tantissimo (sorride). Da lì, poi, ho cominciato a scrivere e non ho fatto altro che raccontare niente più di quello che vedevo, semplice, diretto, come la normalità. Siamo sempre abituati a vivere a mille, a voler qualcosa che ci sconvolga la vita, a volere qualcosa di straordinario. Ora l'abbiamo avuto e ci rendiamo conto di quanto bella e semplice era la nostra routine, che davamo sempre per scontata e che ora ci manca. Il messaggio è la speranza di poter tornare a guardarci in faccia senza mascherine, di poterci dare la mano e di abbracciare i nostri cari. Niente di più.
Dal punto di vista pratico, invece, il pezzo l’ho registrato in camera, con un software mai usato prima. Ho provato a fare questo esperimento, ordinato un microfono a condensatore su Amazon e sono partito. Il risultato è il frutto di tanta pazienza e tantissimi tentativi e troppe parolacce, ma sono riuscito a tirare fuori qualcosa di buono. Il tutto poi è sempre finito nelle mani di Larsen di Reclab che da remoto mi ha aiutato a dargli un sound più consistente grazie al suo lavoro di mix e master.

 

Progetti futuri? Come ti immagini tra qualche anno?

Questa è anche la domanda che fanno ai colloqui di lavoro (sorride) ma ti rispondo in sincerità. Allora, il mio progetto futuro nell'immediato è quello di continuare a scrivere pezzi in italiano. In questo periodo sto scrivendo molto e vorrei fare uscire un altro singolo a cavallo dell’estate con un conseguente EP quest’autunno. Per il resto, ho imparato che l’arte va coltivata ed espressa in primis per sé stessi, poi per il resto del mondo. Ma ho anche capito che a questo, poi, si affianca il far star bene le persone con quello che fai, quindi lo scrivere diventa anche scrivere per gli altri, per avvicinare il prossimo. Tutto questo si affianca, in alcuni casi, come il mio, al volerlo far diventare una professione. Molti puntano il dito nei confronti di coloro che hanno questa visione e la cosa che sento più spesso dire è: “Tu pensa a fare musica poi se sarà sarà”. Non è così, perché se vogliamo che sia, dipende da noi. Se vogliamo diventare dei professionisti, dobbiamo agire da professionisti. Non regge il discorso “Ma sì, lo farò, mi perfezionerò se sarò un professionista”, perché è proprio il perfezionarsi subito e il voler migliorare ogni giorno, la voglia di sbranare il terreno, che può portarti a diventare un professionista, considerando, ovviamente, anche tutti i fattori esterni che non dipendono da noi. Il mio intento è quello di far capire che nessuno regala nulla, quindi, tra qualche anno vorrei vedermi realizzato in quello che faccio e vorrei raccogliere quello che ora sto seminando. Sarebbe la gratificazione più grande, per me e per tutte le persone che mi supportano e sopportano (sorride) e che non hanno mai smesso di farlo. In tutto questo racchiudo la speranza di riuscire a trasmettere qualcosa alle persone che ascoltano la mia musica, questa è la cosa più importante.